“Considerata la situazione
della Società (Terme di Salsomaggiore e Tabiano spa), questa Amministrazione intende avviare un percorso che porterà alla cessione delle
quote con la seguente tempistica entro il 31dicembre 2013 predisposizione del
business plan ed entro il 30 settembre 2014 avvio delle procedure per la
cessione delle quote.”
Ci sono voluti più di 100 giorni d’amministrazione
partito democratica.
C’è voluto l’obbligatorietà di una “Ricognizione delle società partecipate” come previsto dalla legge
finanziaria 2008 (quella dell’accoppiata, poi “scoppiata”, Berlusconi/Tremonti).
Ci sono volute queste 3 scarne, criptiche righe per
informare, finalmente, la città che il Sindaco Fritelli, l’assessore alle Terme
e partecipate Canepari e tutta la giunta comunale stavano semplicemente
scherzando quando dicevano d’avere pronto il rilancio di Terme.
E alla fine sono stati obbligati dalla legge a svelare il loro geniale progetto: non esiste e non è mai esistito alcun piano industriale per salvare le Terme di Salsomaggiore e Tabiano S.p.a. e con esse un intero paese, con i suoi lavoratori, le sue attività alberghiere ed economiche, la sua immagine ed il suo futuro.
Detto questo andiamo con ordine riavvolgendo la pellicola
di un film che i nostri attuali amministratori, ma includiamo tranquillamente
anche quelli passati, almeno dal 30 luglio 2010, hanno voluto occultare alla
visione del pubblico in sala, i cittadini di Salsomaggiore.
Sì perché la legge è del 30 luglio 2010, giorno in cui
viene convertito il decreto 78 del 30 maggio 2010, dove all’art. 14 comma 32 il
legislatore dispone che: ” i comuni con popolazione inferiore a 30.000
abitanti non possono costituire società. Entro il 30 settembre 2013 i comuni
mettono in liquidazione le società già costituire alla data di entrata in
vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni”
Tutti quanti sapevamo che già dall’amministrazione Tedeschi il comune
di Salsomaggiore aveva intrapreso la strada della privatizzazione, tant’è che
aveva affidato ad un consulente esterno, naturalmente pagato con soldi
pubblici, la valorizzazione degli asset delle Terme. E tutti sappiamo quale
fila d’investitori italiani e stranieri si era formata innanzi alla porta del
primo cittadino per poter presentare un’offerta d’acquisto!
Ad ogni buon conto è ben differente decidere autonomamente di privatizzare,
con la possibilità del proprietario
(comune di Salsomaggiore) di valutare se un’offerta sia economicamente congrua
o meno e se un piano industriale messo in campo dall’acquirente sia positivo
per i lavoratori e per l’azienda oppure no; altra cosa ben diversa è essere
obbligati da una legge nazionale a dismettere, attenzione non vendere con profitto,
ma liquidare entro una tal data la propria quota di partecipazione.
Altri comuni termali, quali ad esempio Castrocaro Terme, si sono
opposti a questa decisione o, per lo meno, stanno tentando e già ad inizio anno
hanno chiesto chiarimenti tramite il Presidente delle Autonomie Locali
dell’Emilia Romagna alla Corte dei Conti regionali sulla possibilità di
percorrere altre strade che potessero scongiurare la svendita, perché di questo
si tratterebbe, delle loro quote di partecipazione.
Ed il comune di Salsomaggiore?
Ad oggi non risulta che da questa amministrazione di marca PD, né
tantomeno dalla precedente di stampo liberal/leghista, per non parlare del
commissario prefettizio, siano state avanzate presso le opportune istituzioni
richieste di chiarimenti o possibilità di deroghe alla legge.
Di sicuro al sindaco e all’assessore non è parso vero di trovarsi
spalancata una così facile via di fuga da un affare tanto spinoso come il
risanamento dell’azienda termale cittadina e poter, così, tenere ben riposto
nel cassetto dell’ufficio di via Rossetti un piano industriale inesistente, ma
contemporaneamente salvarsi la faccia ed i voti dicendo: “E’ la legge nazionale
che ce lo impone, prendetevela con Berlusconi e Tremonti”.
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